Piccolo non è bello. Per poter sfruttare le opportunità offerte dal commercio internazionale, per giocare un ruolo non da comprimari nella Belt and Road Initiative, il sistema produttivo italiano deve fare un salto di qualità. Allinearsi alle scale, sempre crescenti, dei mercati globali; dotarsi di una strategia coerente nel Mediterraneo, soprattutto dopo l’allargamento di Suez; guardare al “continente perso”, l’Africa, dove nell’arco di pochissimi anni la Cina ha soppiantato l’influenza europea e americana. Sono solo alcuni spunti emersi dal convegno “Cina, corridoi energetici, porti e nuove rotte: geomappe di un Mediterraneo che cambia” che ha accompagnato la presentazione del quinto Rapporto “Italian Maritime Economy” dell’Osservatorio di SRM sull’Economia dei trasporti e della logistica.
Filo conduttore la contestazione al “nanismo” imprenditoriale della penisola in un quadro dominato sempre più da una spasmodica ricerca delle economie di scala e dall’esuberanza infrastrutturale del Far East. “Il sistema Italia deve concentrarsi sui propri settori d’eccellenza,” ha avvertito Emanuele Grimaldi, Ad Grimaldi Group. “Le risorse non mancano, piuttosto per crescere serve l’aiuto della istituzioni, soprattutto dove le politiche nazionali diventano un ostacolo alla concentrazione”. La strada “è lo sviluppo dei settori che richiamano a una vocazione, che possiedono una storia”. “Inutile sprecare finanziamenti per attività che non possono contribuire alla crescita dell’economia, le banche devono assecondare le eccellenze”.
Discorso ripreso e modulato sul recupero dei gap territoriali anche da Francesco Guido, direttore Generale Banco di Napoli. “In un Paese specializzato nella trasformazione di beni intermedi lo squilibrio tra le aziende concentrate al Nord, il 30%, e quelle al Sud, il 14%, va affrontato, insieme all’esigenza dell’internazionalizzazione delle imprese”. Esigenza che potrebbe a breve essere colmata dall’istituzione delle ZES, “soprattutto per quanto attiene ai regimi di semplificazione amministrativa”. Ma anche da una rinnovata attenzione alla valorizzazione delle competenze: “fattore abilitante della crescita”, che il presidente di Confitarma, Mario Mattioli, vorrebbe somministrare in dosi massicce agli organismi che dettano le regole. “Chiediamo un intervento di sistema, orientando la formazione in un dialogo continuo con i decisori”.
All’Africa e alle occasioni che l’Europa sta perdendo ha guardato il presidente dell’AdSP del Mar Tirreno centrale, Pietro Spirito. “Serve una strategia euro mediterranea da contrapporre alle iniziative cinesi. L’Ue deve parlare con l’Oriente: la storia con l’iniziativa della Nuova via della Seta ha cambiato verso”. Una situazione inedita in cui l’Italia è chiamata a fare una scelta, riprendendo il filo interrotto con la “sciagurata scelta di smantellare la grande impresa pubblica e privata. Per essere protagonisti in OBOR l’export della penisola deve adeguarsi alla massa critica richiesta da quel tipo di mercato”.
Sullo sfondo i dati del rapporto SRM articolato per quest’edizione sulla BRI (Belt & Road Initiative), i corridoi marittimi energetici, i modelli portuali, con Singapore in evidenza, il nuovo paradigma della “portualità 5.0”. “Il Mediterraneo – ha sintetizzato Maurizio Barracco, presidente Banco di Napoli – mantiene la sua centralità. I porti del Mezzogiorno rappresentano circa il 40-50% del traffico marittimo di merci. Per il futuro, la portualità italiana dovrà concentrarsi su alcuni punti: collegamenti ferroviari, piattaforme digitali, capacità di fare innovazione”.
“Quest’anno abbiamo ulteriormente arricchito il rapporto proseguendo con la nostra metodologia di geo-rilevazione elaborando oltre un milione di dati i posizioni navali negli ultimi 5 anni,” ha sottolineato Massimo De Andreis, direttore generale SRM. “Ci siamo inoltre soffermati sul traffico Ro-ro che è un’eccellenza italiana che ha avuto un’impennata del 40% nell’arco adriatico e del 15% nell’arco tirrenico”.
Giovanni Grande