“Le ZES e le Zone Franche rappresentano un valido strumento per lo sviluppo del Mezzogiorno e, in particolare, per il rilancio della Sardegna. La nuova legislazione in materia può rappresentare una importante opportunità da cogliere ma da sola non basta: va inserita in una visione d’insieme, in una serie di scelte strategiche che vedano dialogare politica e mondo imprenditoriale per una valorizzazione reale del territorio”. È la convinzione di Giancarlo Acciaro, presidente di Assoagenti Sardegna, che auspica un deciso cambio di passo in quella che è la collocazione dell’isola nel contesto del Mediterraneo.
A breve sarà pronto il quadro di regole per l’istituzione delle ZES, che giudizio né da?
L’idea in se è ottima. Va però verificato in che modo l’offerta del pacchetto di incentivi sia in grado di rispondere in maniera adeguata alle reali esigenze dell’isola. Il rischio concreto è che senza un’idea precisa della posizione che deve ricoprire la Sardegna nella rete dei traffici logistici internazionali si possano ripercorrere strade già battute, esperienze negative già viste. Quelle, insomma, che hanno portato alla costruzione delle cattedrali nel deserto. Delle industrie che esaurita la spinta iniziale dei sostegni, hanno prodotto la disoccupazione e il sottosviluppo di oggi.
In che modo bisognerebbe operare?
Il collegamento delle zone speciali alle infrastrutture portuali è una scelta più che positiva. Al centro del Mediterraneo la Sardegna potrebbe porsi come baricentro per intercettare tutti i traffici che attraversano il bacino. A patto di trasformare l’elemento negativo della insularità in vantaggio competitivo. Sotto questo aspetto lo strumento ideale sarebbe l’estensione a tutto il territorio di una zona franca integrata, in grado di rendere veramente attrattivo l’insediamento delle attività, attorno ad un sistema di infrastrutture che va assolutamente adeguato.
Quali sono gli interventi più urgenti?
Il fattore tempo diventa sempre più essenziale. Il porto canale di Cagliari ha bisogno di un escavo immediato per poter ospitare adeguatamente le navi da 22mila Teu. La Sardegna potrebbe diventare il punto di partenza per i traffici feeder in direzione di Spagna, Francia e Italia. Stesso discorso, in una logica di specializzazione settoriale, per lo scalo di Oristano, con la ferrovia che si ferma a un chilometro dalla banchine, e quello di Olbia, alle prese con i problemi di congestione del traffico passeggeri nel periodo estivo. Soprattutto, gli adeguamenti infrastrutturali dovrebbero rispondere ad una logica di valorizzazione delle attività che si svolgono sul territorio: penso all’agroalimentare, ai semilavorati, al turismo. Ma anche alle nuove opportunità offerte dallo sviluppo dei carburanti alternativi.
Un nuovo patto per la Sardegna?
Dalla politica all’imprenditoria siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità. La concorrenza spietata tra i porti regionali va sostituita da una strategia unitaria: dobbiamo pensarci come una piattaforma. E promuovere le nostre peculiarità. In una regione dove ci sono 7mila nuraghi e si punta allo sviluppo della crocieristica è impensabile non proporre itinerari turistico-culturali in grado di trattenere i visitatori a terra. Così nel settore agricolo: perché i semirimorchi che d’estate alimentano l’import dalla Spagna non dovrebbero ripartire carichi di nostri prodotti, alimentando economie di scala virtuose? Un discorso d’innovazione che deve partire innanzitutto dalla categoria che rappresento: non possiamo più limitarci solo all’espletamento delle pratiche. C’è bisogno di salto qualitativo, di un cambio di modello. Politica regionale e rappresentanze datoriale devono cominciare a collaborare per far emergere e sviluppare i progetti migliori.
Giovanni Grande