La recente leadership conquistata dall’Italia a discapito della Francia nell’export del settore moda in Cina è dovuta alla “qualità intrinseca” del Made in Italy e, in parte, anche al “buon uso” della logistica. “Da sempre le aziende del comparto mantengono il controllo diretto della catena distributiva, dalla produzione al consumatore finale. In questo modo si evitano fenomeni come l’importazione parallela, le contraffazioni garantendo la consegna in perfette condizioni, nei tempi giusti e con costi controllati. Sotto questo aspetto, in confronto all’uso generalizzato del “franco fabbrica”, emerge quanto risulti strategico il controllo della supply chain per la conquista dei mercati esteri”. Riccardo Fuochi, imprenditore impegnato da anni a fornire servizi logistici di qualità nel Far East, parte dalla cronaca degli ultimi mesi per tratteggiare pregi e difetti del sistema Italia in questo particolare settore industriale. Reduce dalla VI edizione del Summit sulla BRI fa il punto con Porto&interporto sullo stato di avanzamento dell’iniziativa cinese e sulle prospettive generali della logistica italiana.
Quali sono i principali spunti emersi dal summit?
Pur con un rallentamento dei progetti iniziali la BRI continua la sua corsa. Si registra, piuttosto, una maggiore attenzione verso gli investimenti nel Sud Est Asia e sullo stesso territorio cinese. L’esempio tipico è rappresentato dallo slancio preso dalla realizzazione della cosiddetta Greater Bay Area che prevede una forte integrazione tra Hong Kong e le aree metropolitane a ridosso. È qui che il governo di Pechino sta coltivando la già alta specializzazione tecnologica dell’apparato produttivo attraverso una serie di agevolazioni fiscali e incentivi. Altro caso notevole è la decisione di rafforzare ulteriormente la zona franca dell’Heinan dove sarà sperimentato un sistema di ingressi senza visto. Con una forte vocazione turistica l’area potrebbe risultare strategica per la promozione del Made in Italy.
Cosa è mancato finora all’Italia per sfruttare appieno le potenzialità della BRI?
Siamo stati i primi a sottoscrivere un accordo ufficiale, tra l’altro attirandoci critiche dai nostri alleati tradizionali, mentre la Francia riusciva a vendere gli Airbus a Pechino. Non è che, una volta sottoscritto un accordo, poi le cose proseguono per forza di inerzia. Serve una strategia per facilitare le aziende italiane che vogliono partecipare ai progetti della BRI. Ci manca una visione coerente come Paese di cosa si vuole fare. Basta guardare all’esempio tedesco, che ha puntato ad un forte sviluppo dell’automotive o, approfittando della crescita delle relazioni via ferrovia tra Asia ed Europa, alla Polonia, punto di riferimento logistico per questo tipo di traffici. C’è poca coordinazione tra aziende, autorità e associazioni di categoria. Tanto è vero che non siamo stati ancora in grado di realizzare un treno fisso per la Cina.
Perché?
Bastano 45 contenitori per realizzare un servizio regolare. Abbiamo l’offerta, c’è la domanda e le conoscenze operative. Purtroppo la logistica italiana non riesce a creare sinergia per realizzare iniziative che sarebbero pienamente alla sua portata. Ci si limita, invece, a salvaguardare il proprio orticello e non a realizzare scelte comuni a favore di tutto il sistema. Eppure, proprio in questi giorni, seppure in un contesto di grande difficoltà per il settore marittimo, ci sono player che sono riusciti a realizzare collegamenti marittimi diretti con la Cina. Un esempio per tutti noi. Così come è un esempio l’iniziativa di Spediporto che ha deciso di presentare al Summit sulla BRI il progetto, l’unico italiano presentato in quel consesso, per lo sviluppo della Polcevera. Ha dimostrato capacità di guardare avanti, attenzione al contesto internazionale con cui bisogna necessariamente confrontarsi.
I fondi del PNRR riusciranno a cambiare la situazione?
In senso generale sono ottimista. Ma anche in questa occasione devo rilevare la mancanza di un’azione congiunta da parte del settore nel dare un indirizzo al governo nell’utilizzazione delle risorse. Ripeto c’è bisogno di uno sforzo coordinato. La logistica italiana eccelle in alcune attività ma pecca nella presenza all’estero. Pochi hanno strutture importanti in Asia e questo, come dimostrato in senso opposto con il settore moda, è una limitazione alla funzione di supporto che può giocare.