Rispetto ad una narrazione a tinte fin troppo rosa ha deciso di mantenere un profilo critico. Quello del bambino che indica il re e dice: “è nudo”. Almeno per quello che riguarda il suo mondo. Munito dell’immancabile apparato di cifre, grafici e formule Fabrizio Vettosi, recentemente nominato presidente del gruppo di lavoro Shipping Finance dell’ECSA, ha animato questo primo scorcio di autunno, quello del ritorno di convegni e workshop in presenza, evidenziando rischi e mancanze alla base delle misure del PNRR pensate per il cluster logistico.
Un piano, definito a margine della main conferenze di GIS 2021 «malfatto, non comprensivo e che potrebbe generare se mal utilizzato più danni che benefici».
«Nella stesura del piano manca il coordinamento - spiega Vettosi a Porto e Interporto - Non c’è un’analisi di confronto con le misure adottate in precedenza, a partire dal decreto Connettere l’Italia, con uno sbilancio rispetto alle reali esigenze delle varie componenti della catena logistica. Si rischia di perdere risorse, considerando un’allocazione concentrata principalmente sulla ferrovia, dove probabilmente il focus è puntato su necessità già ampiamente soddisfatte, in mancanza di un approfondimento sui reali bisogni dei segmenti merci e passeggeri».
Come di prammatica il corredo dei dati conferma il giudizio severo. A partire dal falso problema degli investimenti in infrastrutture. In Italia, sottolinea Vettosi, investiamo quanto la Germania, circa il 2% del PIL, «ma lo facciamo male». Per un’incapacità, soprattutto di analisi, confermata anche dalle impostazioni delle misure contenute nel PNRR.
«Sotto l’aspetto ferroviario la parte più infrastrutturata del paese – ha ricordato nell’intervento tenuto a Piacenza – è quella che va verso est, tutta sagomata, dai parametri +80 al pc 45, in conformità dell’assessment moderno. Stesso discorso per il peso. La rete ferroviaria per quest’area vale quella del nord Europa. Eppure si parla di adeguamento, dimenticando i 45 miliardi stanziati precedentemente e, tra l’altro, pensati con una logica migliore».
Discorso di “scarsa programmazione” che riguarda anche la portualità, con l’obiettivo maggiore affidato al fondo complementare di aumentare l’accessibilità e la capacità degli scali italiani, «senza pensare all’efficienza».
«Continueremo a saturare le aree in prossimità dei porti. Ma se faccio crescere le dimensioni di un lavandino, avrò bisogno di un tubo di scarico più grande. Inutile guardare agli scali, in quanto tali, se non si considera il miglioramento delle aree retroportuali».
C’è poi una problematica riguardante anche i tempi. Il cronoprogramma delle opere finanziate dal fondo complementare – efficientamento di ultimo miglio e cold ironing, principalmente – seguirà un ritmo più lento.
«Se aumento la capacità sulle banchine più velocemente rischio di ingolfare tutto il sistema. Anche la ripartizione degli interventi è pensata male: se il Sud deve specializzarsi nei passeggeri allora avrebbe più senso concentrare il cold ironing lì piuttosto che nel nord della penisola».
Infine, direttamente legato ad una scarsa consapevolezza della posta in gioco in un momento di transizione come quello che stiamo vivendo, c’è il rischio della “bulimia green” che rischia di creare non poca confusione nel settore marittimo.
Partecipando ad uno dei panel della GSW21 Vettosi ha ricordato come dal primo gennaio prossimo entreranno in vigore i primi due criteri della tassonomia europea, il framework che definisce le attività considerate “green” o “brown” ai fini finanziari. «Un appuntamento cui lo shipping italiano non può arrivare in ritardo».
G.G.