Anche la filiera cerealicola guarda con attenzione alla logistica come ad una leva essenziale per migliorare la propria produttività. Caratterizzato da un’alta incidenza delle importazioni, il comparto che ruota attorno a cereali, semi oleosi e prodotti derivati ha maturato negli ultimi anni la consapevolezza che solo attraverso un sistema di approvvigionamento e di distribuzione efficiente, veloce ed economico sarà possibile mantenere la concorrenzialità sul mercato comunitario. In questa direzione, insieme ad una campagna informativa circa la salubrità dei prodotti che sbarcano in Italia, si muove ANACER, l’associazione nazionale dei cerealisti guidata da Carlo Licciardi. “Con circa 70 associati rappresentiamo, dagli importatori ai commercianti, dai terminal ai broker e agli spedizionieri, tutto il sistema che da vita a un settore che sfiora i 10 miliardi di euro di fatturato”.
Quali sono le caratteristiche della filiera?
In Italia il settore agroindustriale utilizza grosso modo una quarantina di milioni tonnellate di materie cerealicole. La produzione interna soddisfa solo la metà del fabbisogno. Da qui la rilevanza delle attività di import che sono trasportate per più del 60% via mare e per il resto prevalentemente via gomma. Tengo a precisare, circa la qualità delle materie, che i cereali in arrivo in Italia sono rigorosamente controllati. Lungo le vie marittime, ad esempio, il prodotto è verificato sia nei porti di partenza sia in quelli di arrivo.
Come funziona la logistica dei cereali?
Si tratta di un sistema abbastanza articolato lungo la penisola. Il centro-sud Italia è servito principalmente attraverso i porti: da qui il prodotto viene facilmente trasferito su strada grazie alle brevi distanze da coprire per raggiungere gli impianti industriali. Nel Nord, invece, il fabbisogno è soddisfatto attraverso una duplice direttrice: via mare, attraverso i porti di Ravenna, Venezia e Savona; via terra, proveniente da Francia ed Europa centrale. In entrambi le situazioni, riscontriamo difficoltà nei processi di movimentazione.
Di che tipo?
Il porto di Ravenna, che rappresenta il punto di sbarco principale per l’Adriatico, soffre a causa del mancato adeguamento dei fondali. Il fenomeno del gigantismo navale sta caratterizzando anche il nostro settore e alla lunga le nuove unità potrebbero preferire Koper o operare attraverso tagli di portata, con costi superiori che andrebbero a ripercuotersi lungo tutto la filiera. Ciò che preoccupa sono soprattutto i tempi di realizzazione degli interventi: la questione degli escavi è nota da anni ma si continua solo discuterne.
Per quanto riguarda il trasporto terrestre quali soluzioni avanzate?
Come associazione cerchiamo di animare il dibattito, di proporre nuove idee verso una svolta intermodale. La ferrovia rappresenterebbe un’ottima soluzione nei confronti del tutto gomma, specie per quanto concerne il settore della mangimistica: basterebbe realizzare piattaforme per la rottura del carico e il conseguente trasbordo delle merci, sulla falsariga di quello che viene fatto negli interporti per i contenitori. Si tratterebbe, in definitiva, di creare un’infrastrutturazione a costi contenuti, dando una risposta a quella frammentazione territoriale dell’industria che rappresenta il vero deterrente all’uso del ferro.
Quali sono le prospettive per il futuro del comparto?
I trend macroeconomici vanno nella direzione di un aumento ulteriore delle quote di materie prima da importare. A maggior ragione la fase logistica diventa strategica per garantire la produttività del sistema. Si pensi alla nostra industria nazionale della carne, in diretta concorrenza con quella francese. I maggiori costi sul trasporto dei mangimi, qualora non fossero adottate le misure necessarie, potrebbero sortire effetti negativi sui prezzi del prodotto finale.
Giovanni Grande