È l’Africa il posto in cui guardare se si vuole capire la portata strategica della Belt and Road in termini di influenza geopolitica. Da “continente dimenticato” a “terra delle opportunità” la Cina sta scalzando progressivamente gli ultimi avanposti di influenza europea a colpi di prestiti agevolati e investimenti in infrastrutture. Ma anche con un approccio politico pragmatico che riproponendo i principi della Conferenza di Bandun (l’assise che nel 1955 sancì la volontà dei paesi afro-asiatici di superare l’assetto coloniale) si affida al rispetto della sovranità, al mutuo beneficio, alla non interferenza negli affari interni. Il risultato dell’“afrobarometro” del Pew Research Center, sotto questo aspetto, non sorprende: oltre i 2/3 degli abitanti di Nigeria, Kenia e Senegal giudicano favorevolmente la presenza cinese nel continente a fronte di un misero 28% riferito ad Italia e Germania.
Un terreno favorevole ai sempre più numerosi accordi siglati per lo sfruttamento delle risorse e la realizzazione di infrastrutture. Un elenco di opere che dall’inaugurazione nel 2008 del cosiddetto “modello angolano” (il primo caso in cui uno stato africano rinunciò ad un prestito dell’FMI per rivolgersi a Pechino) si allunga ogni giorno e in cui il recente rapporto di SRM Italian Maritime Economy cerca di mettere ordine nel focus dedicato alle iniziative della New Silk Road.
Tra queste spicca, sulla costa africana dell’oceano Indiano, “una ferrovia lunga 471 km tra Nairobi e Mombasa, con treni merci e passeggeri ad alta velocità”. Centrale per la BRI è anche l’Egitto, in particolare in prossimità del Canale di Suez, area che vede la Cina primeggiare in termini di investimenti. “Una società cinese ha siglato un accordo per l’ampliamento del porto di Alessandria mentre la China Railway Construction Corporation ha ottenuto l’incarico di allungare di 70 km la rete ferroviaria nei dintorni del Cairo”. Altri progetti, in partnership con attori locali, riguardano invece il porto di Doraleh, a Gibuti, costruito dalla China Merchants Holdings International in soli due anni, e la linea ferroviaria di collegamento con il nuovo scalo di Addis Abeba, in Etiopia, lunga ben 750 km. “Per il futuro uno dei paesi da tenere d’occhio è lo Zambia, in cui dovrebbe essere rinnovata la TanZam, la ferrovia che collega il paese alla Tanzania e in cui è in progetto una nuova linea con destinazione Mozambico, via Malawi”.
Fin qui l’Africa orientale, versante strategico per lo sviluppo della Via della Seta Marittima. Ma l’impegno cinese è rivolto al potenziamento infrastrutturale anche della costa occidentale con l’obiettivo, sul lungo termine, di creare un network di collegamenti ferroviari e stradali in grado di innervare anche le zone interne. Investimenti, sotto questo punto di vista, sono previsti per i terminali portuali di Lomè, in Togo, e Lagos, in Nigeria dove si lavora alacremente per la realizzazione dello scalo in acque profonde di Lekki.
“Il collegamento dei porti con l’entroterra determinerà grandi profitti per l’economia di Pechino,” sottolinea un report della tedesca Ruhr-University Bochum. “Prodotti, risorse e manodopera saranno trasportati più facilmente da una costa all’altra”. Alimentando le zone, specialmente in Etiopia, dove l’industria cinese del settore abbigliamento e calzaturiero stanno delocalizzando da qualche anno.
Giovanni Grande