L’impatto economico della cultura in Italia è stato spesso, negli ultimi anni, oggetto di polemiche, di ipotesi e posizioni contrapposte quasi sempre non basate su riscontri numerici e analisi approfondite. La ricerca realizzata da SRM (Studi Ricerche Mezzogiorno, Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) dal titolo “Il valore dell’industria culturale e creativa in Campania. Il ruolo delle “Gallerie d’Italia” a Napoli” oltre a fornire dati sull’impatto economico della cultura - settore che sfida con successo le tradizionali leggi economiche crescendo anche in periodi difficili, dimostrando quanto effettivamente vale; tutta la filiera culturale, secondo autorevoli stime1, produce 255,5 miliardi di euro di valore aggiunto tra ricchezza diretta ed indotta, il 16,6% del valore aggiunto nazionale - e sulle potenziali e naturali connessioni con il comparto turistico, intende stimolare un dibattito rivolto ad esprimere l’importante ruolo che la cultura riveste per il territorio napoletano e campano. Sono stati, infatti, analizzati i punti di forza e le aree di miglioramento del sistema culturale campano, nonché l’impatto economico che si genera sul territorio in ragione del continuo aumento della domanda culturale e di un flusso di visitatori che non si limiti al periodo estivo.
La situazione nazionale
Il perimetro delle attività economiche del Sistema Produttivo della Cultura, funzionale alla quantificazione delle industrie culturali e creative (ICC), parte dalla identificazione delle attività circoscritte da uno studio di Symbola secondo cui le ICC si classificano in quattro macro aree: industrie culturali, industrie creative, performing arts e arti visive e patrimonio storico-artistico.
Tutto il Sistema Produttivo Culturale e Creativo dà lavoro a 1,5 milioni di persone e produce una ricchezza di 92,2 miliardi di euro, il 6% della ricchezza prodotta in Italia, che a sua volta ne stimola altri 163,3 per arrivare a 255,5 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,6% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano.
Si tratta di una industria in espansione molto dinamica, nonostante gli altalenanti trend della crescita economica generale. Infatti, dal 2011 al 2017 il Sistema Produttivo Culturale e Creativo italiano è cresciuto, sia in termini di valore aggiunto che di occupazione, più rapidamente che nel complesso dell’economia. Negli ultimi 10 anni disponibili (2006 e 2015), il totale dei visitatori di beni culturali e storici italiani è cresciuto del 76,3%, e nei cinque anni fra 2011 e 2015, nonostante la grave crisi economica del periodo, del 6,4% (evidentemente, il rallentamento della crescita negli ultimi quattro anni ha comunque risentito della crisi, nonostante il fatto che il mercato abbia continuato ad espandersi). Il numero dei visitatori più alto si registra per i musei (59.598 pari al 54% del totale visitatori).
Ma l’offerta che cresce più rapidamente nel periodo 2006-2015 (+118,6%) è quella delle aree o parchi archeologici che è infatti anche la tipologia di bene che, come si è visto, vede accrescersi in modo più dinamico la domanda.
La situazione in Campania
In un Sud che è un museo a cielo aperto la Campania, grazie alla presenza di una grande area metropolitana come Napoli, si presenta come un vero e proprio hub della cultura con una grande stabilità di strutture disponibili al pubblico. Ma è ancora migliorabile l’integrazione dei servizi e dei prodotti, evidenziando un potenziale economico dell’offerta culturale campana ancora ampiamente inespresso.
L’analisi dell’offerta culturale e museale campana evidenzia un assetto stabile e consolidato: 223 strutture culturali pari al 17% del Mezzogiorno, terzo valore più alto nel Sud, dopo Sicilia e Sardegna, e decimo in Italia. Ciò che ancora non è sufficiente nella regione è il livello di integrazione dell’offerta che consente a ciascun istituto di beneficiare anche dell’attrattività degli altri istituti. La percentuale di strutture appartenenti ad un circuito museale integrato è del 25,6%, inferiore al dato meridionale (33,1%) e nazionale (45,9%).
La regione poi si contraddistingue per una elevata percentuale di istituti museali ad accesso gratuito (57,1%); ciò se da un lato svolge una funzione sociale dall’altro sottrae risorse necessarie per un ulteriore miglioramento manutentivo, restaurativo o espositivo del patrimonio visto anche che diverse strutture sono aperte continuamente per tutto l’anno e quindi particolarmente costose. Cresce del 35,4% il numero dei visitatori dei musei ed istituzioni similari fra il 2011 e 2015, una dinamica superiore al dato meridionale (20,5%) ed al dato nazionale (6,4%). L’Indice di riempimento delle strutture è elevato (46,5%) ed in crescita (+32,3%), garantendo un posizionamento di mercato del prodotto culturale campano prestigioso. Tuttavia se nel comparto statale, per numero di istituti la Campania è la quarta regione italiana (dopo Lazio, Sicilia e Toscana) e il suo indice specifico di domanda (visitatori per istituto: 147) è pari a più del doppio della media meridionale, in quello non statale, la Campania scivola al tredicesimo posto fra le regioni italiane ed il suo indice specifico di domanda (16,9), pur rimanendo più alto delle medie del Sud e del Paese, è però a queste più vicino.
È quindi nel segmento degli istituti non statali, pubblici e privati, che vi sono i margini per un ulteriore potenziamento dell’attrattività culturale della regione.
Napoli presenta una assoluta centralità nel panorama storico-culturale ed artistico meridionale ed è baricentrica in termini di attrattività, rafforzando il binomio turismo-cultura.
Il patrimonio culturale napoletano, campano e meridionale è estremamente ampio e diversificato, molto attrattivo ma anche fortemente frammentato. In termini di rapporto fra visitatori ed abitanti residenti, Napoli è solo settima fra le province meridionali, superata da alcune province siciliane. Pertanto, e proprio in considerazione del suo ruolo propulsivo come centro dell’offerta campana, ci sono ancora margini di miglioramento nei confronti dei concorrenti diretti del Sud, con specifico riferimento al segmento degli istituti non statali, che presenta evidenti fattori di ritardo in termini di attrazione.
La competitività di una destinazione turistica, infatti, dipende da un insieme complesso di elementi in gioco, in particolare dall’interazione tra le forze del macroambiente (economiche, sociali, ambientali, ecc), che non sono controllabili dai destination manager, e le forze del microambiente, vale a dire l’insieme di soggetti interni ed esterni al territorio che influenzano direttamente e che possono essere a loro volta influenzati da chi governa la destinazione turistica.
Per quanto riguarda le politiche possibili per il settore, va rilevato come la Regione ponga già attenzione specifica al patrimonio culturale, utilizzando il PO FESR, con un finanziamento di 118,76 mln di euro, al fine di promuovere la valorizzazione culturale. Tale intervento va però, da un lato, reso selettivo e dall’altro organico. Si propone quindi di adottare, in linea con quanto già fanno alcune Regioni (ad es. la Toscana) un piano regionale pluriennale per la cultura, che includa tutti i segmenti rilevanti (musei, archivi e biblioteche, beni archeologici, festival e manifestazioni). Una simile scelta conferirebbe certezza dei finanziamenti su un arco temporale superiore all’anno, una prospettiva di policy di medio periodo, e consentirebbe di rendere selettive le politiche. E andrebbe data priorità alle aree interne, a beni poco valorizzati, anche prima del finanziamento diretto all’istituto, mediante opportune politiche di promozione di tali beni, sconosciuti, presso i mercati potenziali, integrandoli dentro itinerari turistici che partano dai beni-attrattori (quelli più rilevanti in termini di presenze) e si diramino verso quelli ancora poco visitati.
SRM