Il fenomeno della “trappola del debito” potrebbe essere ben più ampio di quanto si pensi. Il meccanismo dei finanziamenti cinesi legati ai progetti della BRI, caratterizzato da modalità operative quantomeno opache, sta producendo oneri sostanzialmente più grandi di quanto gli istituti di ricerca, le agenzie di rating e le organizzazioni intergovernative con funzioni di sorveglianza hanno finora registrato. A farne le spese ben 42 paesi a basso e medio reddito i cui livelli di esposizione nei confronti della Cina sono superiori al 10% del PIL.
L’allarme è stato lanciato dallo studio Banking on the Belt and Road, a cura dell’istituto di ricerca AidData, collegato all’università William & Mary della Virginia (USA), che mette in ordine tra i dati di 13.427 progetti in 165 paesi per un valore di 843 miliardi di dollari. Raccolta che copre i progetti approvati tra il 2000 e il 2017 e realizzati tra il 2000 e il 2021, finanziati da più di 300 istituzioni ed enti governativi cinesi.
Il primo elemento che balza all’occhio è la funzione di spartiacque ricoperta dalla BRI. Da una posizione di sostanziale equilibrio tra Cina e Stati Uniti negli investimenti esteri, dal 2013 si è registrato il sorpasso di Pechino che impegna mediamente 85 miliardi di dollari l’anno contro i 37 di Washington.
“La Cina si è rapidamente affermata come il finanziatore di prima istanza per molti paesi a basso e medio reddito, ma le sue attività internazionali di prestito e sovvenzione rimangono avvolte nella segretezza”, ha spiegato Ammar A. Malik, Senior Research Scientist di AidData e co-autore di Banking on the Belt and Road. “La riluttanza di Pechino a rivelare informazioni dettagliate sul suo portafoglio di finanziamenti all’estero ha reso difficile per i paesi a basso e medio reddito pesare obiettivamente i costi e i benefici della partecipazione alla BRI. Così come per le agenzie di aiuti bilaterali e le banche di sviluppo multilaterali di determinare come possono competere - o coordinare e collaborare - con la Cina per affrontare questioni di interesse globale”.
Dal focus dedicato dal rapporto alla BRI emerge come Pechino preferisca fare leva sul debito, piuttosto che sugli aiuti, nel suo impegno finanziario per lo sviluppo. Da quando l’iniziativa strategica è stata introdotta, la Cina ha mantenuto un rapporto di 31 a 1 tra prestiti e sovvenzioni, mettendo a frutto il crescente protagonismo delle sue banche statali, sempre più coinvolte nei cosiddetti “mega-progetti”, finanziati con prestiti del valore al di sopra dei 500 milioni di dollari.
Con la crescita dei livelli di rischio sono state messe in atto maggiori garanzie di rimborso. Il 31% del portafoglio di prestiti all’estero del paese ha beneficiato di un’assicurazione del credito, di un pegno di garanzia o di una garanzia di rimborso da parte di terzi durante i primi anni del secolo. Oggi questa cifra è salita al 60%. Inoltre, i prestiti di Pechino ai paesi a basso e medio reddito sono forniti a condizioni meno generose rispetto a quelli dell’OCSE-DAC e dei creditori multilaterali. Un prestito tipico dalla Cina ha un tasso d’interesse del 4,2% e un periodo di rimborso di meno di 10 anni. In confronto, un’operazione tipica da un prestatore OCSE-DAC come Germania, Francia o Giappone ha un tasso d’interesse dell'1,1% e un periodo di rimborso di 28 anni.
Con l’introduzione della BRI sono mutate anche le modalità operative dell’intervento finanziario cinese all’estero. Dai trasferimenti diretti ai governi centrali si è passato, nel 70% dei casi esaminati, a quelli a società e banche statali, joint venture e istituzione del settore privato nei paesi beneficiari. Con la conseguenza dell’aumento del “debito nascosto”, visto che parte delle risorse non sono registrate nei bilanci statali, e di una distinzione sempre più labile tra debito privato e pubblico, in un meccanismo che prevede comunque forme esplicite o implicite di protezione della responsabilità da parte dei governi coinvolti.
Secondo Brad Parks, direttore esecutivo di AidData e co-autore del rapporto, “questi debiti non dichiarati valgono circa 385 miliardi di dollari e il problema del debito nascosto sta peggiorando nel tempo. La Cina dovrà presto affrontare livelli più elevati di concorrenza nel mercato finanziario globale delle infrastrutture a causa della Build Back Better World Initiative e della Global Gateway Initiative recentemente annunciata dall’Ue. Mentre entriamo in questa nuova era di rivalità strategica, sarà più importante che mai che i politici del G7, della Cina e dei paesi ospiti si basino su dati concreti piuttosto che su opinioni o congetture”.